NOMADI DIGITALI. OPPORTUNITÀ O ILLUSIONE?

(“ai posteri l’ardua sentenza”)

Il nomade digitale, definizione coniata già alla fine degli anni ’90, è entrato nelle nuove modalità di lavoro e turismo, diffondendosi in vari settori, soprattutto a seguito dei cambiamenti avvenuti con la pandemia di Covid. I dati non sono però concordi, e non si comprende bene quanto di questo fenomeno sia frutto di una percezione gonfiata dai media (il nomade fa notizia!), dall’advertising di prodotti e servizi (il nomade fa tendenza!), ovvero da una certa progettazione tendenziosa da parte di Aree Interne e Piccoli Comuni (il nomade fa spesa!), beneficiati da fondi straordinari e talvolta spropositati rispetto alle dimensioni ed alla capacità di gestione effettiva.

L’interesse anche turistico è molto forte, perché il “nuovo target” ispira la creazione di un “nuovo prodotto”, e molti ci si sono tuffati a pesce nella certezza di aver trovato la quadratura del cerchio: nuovi turisti e residenti per destinazioni marginali.

Ma cosa significa esattamente? Il nomade digitale ha la possibilità di svolgere la propria attività lavorativa da remoto e, di conseguenza, è in grado di spostarsi ed esplorare o vivere in destinazioni diverse da una eventuale sede fissa di lavoro. Una recente ricerca di IRPET[1], come sempre molto seria e documentata, traccia un profilo di questa categoria di lavoratori-viaggiatori che, a quanto pare, risultano essere in crescita per numerosità.

La loro composizione è piuttosto elitaria: prevalgono i giovani adulti senza carichi familiari, con un alto livello di istruzione, che lavorano in ambito informatico/digitale e hanno redditi elevati, che amano le grandi città ma anche le mete esotiche e preferiscono soggiornare in luoghi in cui possono beneficiare di un costo della vita ridotto rispetto al paese di origine.

Tuttavia, la scelta della destinazione da parte di un nomade digitale sembra essere soggetta a numerosi fattori, che certamente comprendono il costo della vita, con un ruolo importante rivestito anche dalla comunità locale e il suo apporto sociale e culturale.

Da notare, però, che le preferenze dei potenziali “nomadi” non sembrano tanto baciare le aree marginali “tout court” (quelle che magari ne avrebbero più bisogno), quanto piuttosto quelle vicine, comode, magari al mare, e comunque belle.

Qualche altro dato di consistenza sui nomadi digitali ci arriva dall’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, secondo cui i lavoratori da remoto in Italia erano 570mila nel 2019 (ovvero il 2,5% del totale), avrebbero raggiunto il valore massimo di 6,5 milioni nel 2020 (29,5% del totale), per assestarsi sui 3,5 milioni nel 2024 (14,9% del totale).

Stime più contenute e magari meno entusiastiche provengono dai dati ISTAT[2], che parlano del 12% degli occupati ad aver effettuato almeno qualche ora di lavoro da remoto (nelle quattro settimane precedenti l’intervista) nel 2023, mentre nell’”anno orribile” 2020 erano comunque solo il 15%.

A sua volta l’INAPP ha calcolato, considerando il potenziale complessivo di telelavoro consentito dalle diverse mansioni lavorative, che i lavoratori da remoto potrebbero, in realtà, rappresentare anche il 40% del totale degli occupati in Italia.

Da tutte le fonti risulta comunque come la scelta della destinazione per un nomade digitale non possa essere ridotta a un solo parametro – come il costo della vita o la vivacità sociale e culturale – bensì rappresenti l’esito di un bilanciamento complesso tra molteplici fattori, pur sempre con la precondizione di un’efficiente copertura di rete.

I nomadi digitali formano una comunità eterogenea, con necessità diverse che vanno dall’efficienza nel lavoro da remoto all’accoglienza culturale, dalla qualità del divertimento alla sicurezza. Le città che riescono a presentare un’offerta equilibrata nei vari ambiti, e che sanno comunicare efficacemente queste proprie qualità, hanno dunque maggiori probabilità di attrarre e trattenere un numero crescente di nomadi digitali, alimentando così un circolo virtuoso tra presenza di lavoratori itineranti, dinamismo economico e culturale e crescita dell’offerta di servizi locali. Gli impatti positivi sono teoricamente maggiori per i luoghi meno congestionati, in cui la presenza di nuovi visitatori e potenziali residenti può avere un effetto di rivitalizzazione.

Oltre alle citate precondizioni, una invariante rimane la Marca dei territori, la loro notorietà e reputazione, che coincide spesso con la loro attrattività anche turistica.

Alcune destinazioni si sono mosse o si stanno muovendo per sfruttare il proprio potenziale nell’ospitare i nomadi digitali: ad esempio il “Digital Nomad Visa”, un permesso temporaneo, pensato per i lavoratori che si muovono a livello internazionale, consente di rimanere legalmente in un Paese straniero più a lungo di quanto consentito dai tradizionali visti turistici, a condizione di mantenersi con il proprio lavoro. Alcuni Paesi  (nel 2023 erano 54 i Paesi nel mondo secondo UNWTO) hanno istituito questo tipo di permesso con l’obiettivo di attrarre sul proprio territorio questa nuova categoria di lavoratori/visitatori, confidando in ricadute positive in termini economici e di innovazione.

In Italia, con la Legge 25/2022 è stata riconosciuta legalmente la figura del nomade digitale, quale figura particolare di lavoratore immigrato, ma non sono stati ancora emessi i necessari decreti attuativi. Secondo l’Associazione Italiana dei Nomadi Digitali (AIND), oltre al visto sarebbe utile prevedere il riconoscimento di “Residente Temporaneo di Comunità”, equiparando di fatto lo status di abitante temporaneo a quello dei cittadini stanziali, per consentire l’accesso ai principali servizi di base (anagrafe, sanità, trasporto pubblico, scuola).

Per la parte imprese, non sono ancora del tutto chiari gli effetti sui livelli di produttività, mentre i risparmi legati alla riduzione dei costi fissi connessi alle sedi aziendali sono molto limitati nei casi di lavoro ibrido, da cui la decisione di alcune grandi aziende (il caso più noto è quello di Amazon) di riportare in sede i lavoratori, “dispersi” dal COVID.

Nello stesso senso restrittivo vanno anche alcune recenti dichiarazioni del Presidente Trump, fiancheggiato dalle sue “major” più fedeli, che usano toni del tipo “la festa è finita, tutti a casa!”.

Molto dipende ovviamente dal tipo di prodotti/servizi erogati, dal modello di impresa, dall’atteggiamento e dalla politica datoriale, dall’autorità/autorevolezza dei leader, e così via.


[1] La digitalizzazione del lavoro e le opportunità per le aree interne su dati dal sito Nomads.com, IRPET 2024.

[2] Rilevazione sulle Forze di Lavoro, ISTAT 2024.

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