Dal 2021, con la fine della crisi Covid, l’occupazione in Italia è cresciuta significativamente, raggiungendo livelli record. Ma l’Italia rimane all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione, instabilità lavorativa e part-time involontario, soprattutto tra le donne. Nonostante l’aumento del tasso di occupazione riscontrabile dal 2019 al 2023, i progressi italiani sono inferiori rispetto ad altri paesi europei: con poco più di 61 occupati su 100 persone da 15 a 64 anni, l’Italia è all’ultimo posto tra i 27 paesi dell’Unione (Eurostat). Una differenza di quasi 20 punti percentuali con paesi come l’Olanda, mentre anche la Grecia ci ha ormai superato. Il tasso di occupazione femminile è basso e persiste una forte diffusione di contratti a tempo determinato. Inoltre, l’Italia è ancora il paese con il maggior numero di donne che lavorano part-time contro la loro volontà (oltre il 50% sul totale delle occupate), dice l’Ocse. Nonostante i miglioramenti, i lavoratori italiani restano meno retribuiti e più instabili. Tra l’altro, e verrebbe da dire proprio per questo, il rapporto European Workforce Study 2025[1] attribuisce al nostro Paese l’ultimo posto in Europa per il livello di soddisfazione dei dipendenti. Solo il 43% dei dipendenti italiani, infatti, considera, la propria organizzazione un ottimo luogo di lavoro, mentre i livelli più alti di soddisfazione sono riscontrabili in Scandinavia, nei Paesi Bassi e in Svizzera. I fattori principali per la soddisfazione del dipendente sono: essere trattati con rispetto, l’equilibrio tra lavoro e vita privata, la sicurezza psicologica, la coerenza della leadership e una retribuzione equa. I settori che vanno meglio sono tecnologia, finanza e servizi professionali. Se la soddisfazione della forza lavoro ha un rapporto diretto con la produttività e con la qualità del prodotti/servizio reso, c’è da rifletterci bene.
[1] Su un campione composto da circa 25 mila collaboratori, attivi in 19 paesi del Continente.