Francesco Armillei su LaVoce segnala e documenta quello che è sotto gli occhi di tutti: la quota di lavoratori con cittadinanza extra-europea nella ristorazione sale costantemente da circa dieci anni.
Percentuale di assunzioni lavoratori con cittadinanza extra UE
Per gli addetti alla cucina, nel 2014, il 41% delle assunzioni riguardava lavoratori con cittadinanza extra-europea, mentre nel 2023 la percentuale è salita fino al 58%. Discorso simile vale per i cuochi: qui la percentuale è salita dal 23 al 34% nello stesso intervallo di tempo. La crescita è stata invece più contenuta per quelle mansioni che prevedono un contatto diretto con la clientela, ovvero camerieri (dal 13 al 17%) e baristi (dal 9 al 10%). Per quanto riguarda le caratteristiche dei contratti di lavoro, il ricorso a quelli collettivi nazionali risulta omogeneo tra i due gruppi di individui. Una differenza invece emerge nella tipologia di contratti utilizzati: i lavoratori con cittadinanza extra-europea vengono assunti più di frequente con contratti di lavoro a tempo indeterminato rispetto ai loro omologhi con cittadinanza italiana: 24% contro 11% nel caso dei cuochi, 9 contro 3% in quello dei camerieri, 21 contro 11% per i baristi e 9 contro % per gli addetti alla cucina. Una variabile fondamentale da considerare è ovviamente quella economica: il salario lordo mensile d’ingresso (cioè all’attivazione del contratto). A parità di fattori demografici (genere e età) e contrattuali (tipologia di contratto, tipologia di orario, regione di lavoro), nel periodo 2021-2023 i lavoratori con cittadinanza extra-europea hanno ricevuto in media un salario mensile inferiore di circa 58 euro rispetto ai loro omologhi con cittadinanza italiana. Si tratta di un divario salariale nell’ordine di grandezza del 5%, non irrilevante quindi. Tre conclusioni: il settore della ristorazione è cambiato in fretta, e la ristorazione e la cucina, elementi così ancorati alla tradizione nazionale nell’immaginario collettivo, sono in una buona parte affidati a lavoratori extra-europei. Il settore della ristorazione soffre di una grande precarietà dal punto di vista contrattuale, che però vale per tutti. Le differenze salariali evidenziate e la loro sostanziale stabilità indicano una discriminazione.