La cultura si valorizza col turismo

Tratto da Lavoce.info

Nel 2013, diciotto milioni di stranieri sono arrivati in Italia perché attratti dalla nostra cultura. Ma come riuscire a trasformare il grande patrimonio artistico-culturale italiano in una risorsa in termini di Pil e occupazione? Alcuni suggerimenti per ottenere un maggior utile con poca spesa.

COSA SIGNIFICA VALORIZZARE LA CULTURA?
“La cultura è il nostro il petrolio, ma non lo sappiamo sfruttare”: è il ritornello di saggezza spicciola intrecciato con le competenze del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che Dario Franceschini ha definito “il più importante ministero economico”. Vale forse la pena di fare un po’ di chiarezza, senza illudersi che sia definitiva.
Cosa significa valorizzare la cultura? A novembre 2012 (con due anni di anticipo sul centenario) la Francia ha inaugurato il museo nazionale della Grande Guerra di Meaux, e lo ha lanciato con l’emozionante pagina Facebook 1914 che racconta la storia di due fidanzati separati dal conflitto.

Sempre in Francia, ogni anno oltre sei milioni di visitatori pagano un biglietto per frequentare i siti della guerra, e spendono in media 6 euro se sono escursionisti, ma ben 88 se dormono in zona come turisti. Questo si chiama “valorizzare” o, meglio, “mettere in turismo”.

In Italia le celebrazioni del centenario della Grande Guerra sembrano comporsi soprattutto di cerimonie, i siti storici non sono a pagamento, e con le risorse dedicate agli investimenti si sono addirittura completate alcune opere dei Mondiali di nuoto del 2009 (gestite dal tristemente noto comitato d’affari, lo stesso del G8 alla Maddalena e all’Aquila).

L’IMPATTO DELLA CULTURA SUL TURISMO
Dalle ultime indagini, si ricava che la motivazione culturale influenza quasi il 40 per cento dei turisti internazionali che visitano il nostro paese. Nel 2013 si è trattato dunque di 18 milioni di stranieri (sui 48 milioni totali) arrivati in Italia perché attratti dalla nostra cultura. Tra i turisti italiani, invece, la motivazione culturale “pesa” per il 24 per cento: 13 milioni di persone su un totale di 55 milioni sempre nel 2013. I “turisti culturali”, quindi, sono soprattutto stranieri.

Su queste basi si arriva a stimare una spesa complessiva dei turisti culturali pari a 9,3 miliardi, di cui il 60 per cento generata dai turisti stranieri: sono sempre loro, quindi, i più grandi “consumatori” di cultura in vacanza.

Applicando i moltiplicatori settoriali diretti e indiretti della produzione dovuta alla domanda turistica si stima che il valore aggiunto generato dalla domanda turistica culturale ammonta a oltre 6,3 miliardi di euro e l’occupazione attivata supera le 186mila unità di lavoro. (2)

D’altra parte, con un metodo bottom-up, si può anche misurare la domanda che si rivolge ai beni e agli eventi a connotazione culturale: in Italia nel 2013, nonostante la crisi che ha falcidiato anche queste spese, 100 milioni di persone hanno “effettuato un consumo di bene culturale”, visitando un museo o un sito. Di questi, circa 52 milioni erano italiani (70 per cento residenti o escursionisti, 30 per cento turisti pernottanti) e 47 milioni stranieri (42,2 milioni turisti pernottanti, 4,7 milioni invece escursionisti, tra cui i crocieristi). Gli italiani appaiono in netto calo, mentre gli stranieri sono in crescita; ma non ci sono dati precisi, perché, incredibilmente, non vengono rilevati. Comunque si conferma che il principale gruppo di fruitori paganti è costituito dai turisti stranieri.

Dal lato degli eventi culturali, si sono avuti 29,8 milioni di partecipanti/spettatori a spettacoli musicali a pagamentoo frequentatori di mostre, di cui 2,7 milioni turisti pernottanti. (3) Meno del 10 per cento, quindi, sono turisti, e questo vuol dire che nella maggioranza dei casi gli eventi hanno scarso impatto economico.
Nell’insieme, per i beni e gli eventi si stima una spesa finale di oltre 11,2 miliardi, di cui più della metà sostenuta dagli stranieri. Applicando ancora i moltiplicatori settoriali, il valore aggiunto arriva a 8,1 miliardi di euro e l’occupazione a 224 mila unità di lavoro.

CULTURA COME RISORSA, TURISMO COME INDUSTRIA
Le diverse valutazioni, seppure schematiche, dicono sostanzialmente due cose: la cultura “vale” circa 10 miliardi di spesa turistica (pari al 24 per cento del totale nazionale) e 7 miliardi di valore aggiunto; e questo segmento di turismo “impegna” circa 200mila lavoratori, un quarto del totale del settore. Ma, soprattutto, ci dicono che sono i turisti a sostenere la maggior parte della spesa diretta per la cultura e il suo indotto.
Potrà forse sembrare dissacrante e materialista trattare beni ed eventi culturali come un fattore di produzione di reddito e una occasione di lavoro, ma vale la pena di iniziare a farlo: valorizzare non vuol dire semplicemente scavare, recuperare, restaurare, repertoriare, archiviare, proteggere. Quelle sono precondizioni, forse sacrosante, ma che non possono esaurire il compito. In un ideale bilancio economico rappresentano altrettante voci di costo, a fronte del quale occorre iniziare a considerare e incrementare le voci di ricavo. Non solo quelle di biglietteria e di bookshop, ma sempre più anche quelle di trasporti, ristorazione, shopping, alloggio. In una parola, le ricadute turistiche.

Infine, una piccola lista delle cose che si potrebbero fare con poca spesa (organizzativa) e tanto utile (finanziario). Si potrebbe cominciare a misurare e contare i visitatori dei beni culturali e i partecipanti agli eventi anche per la loro geografia di provenienza e il loro profilo di spesa. Sarà forse un test difficile da digerire per molte sovrintendenze e amministrazioni locali, ma appare imprescindibile per il paese nel suo complesso, nel momento in cui deve decidere dove destinare risorse scarse, e dove invece generare fatturati, export e occupazione.
Si potrebbe anche differenziare il prezzo a seconda dei vari elementi di marketing (per orario, giorno, fascia sociale, capacità di spesa, provenienza, eccetera), iniziando ad applicare quel revenue management su cui si basano i vettori del trasporto, le imprese alberghiere, persino i bar quando fanno l’happy hour. Altrimenti, Pompei continuerà a incassare 20 milioni di euro l’anno e gli Internazionali di tennis di Roma 23 milioni in una settimana.

Sarebbe utile lavorare sul prodotto/servizio: se il pubblico è globale e diversificato, si deve proporre una offerta articolata e non solo standard. Ad esempio, si potrebbe adottare la tecnica del “fast track”, a cui ricorrono i parchi divertimento e persino gli ascensori dello Shard di Londra; o consentire lo svolgimento di eventi speciali come cerimonie di nozze (lo ha proposto il sindaco Marino a Roma suscitando scandalo, mentre è prassi comune dovunque si cerchi di trarre ricavo da investimenti altrimenti insostenibili).

Infine, si deve costruire il “paniere”: se molti vogliono visitare solo i beni culturali di maggior richiamo con modalità “mordi e fuggi”, sarà il caso di dissuaderli, vendendo loro un “pacchetto” che comprenda anche altri prodotti o servizi (informativi, di ristorazione, di alloggio, e altro), che procurano maggiore redditività per il territorio.

(1) Ufficio italiano cambi – Banca d’Italia, anni vari.
(2) Guido Candela, Paolo Figini, Economia del turismo e delle destinazioni, MC Graw Hill, 2010; “Il valore aggiunto del turismo”, Unioncamere Isnart – anni vari. [1] L’unità di lavoro (Ula) è l’unità di lavoro dipendente equivalente a tempo pieno. È un’unità di misura, utilizzata dall’Istat, del volume di lavoro prestato nelle posizioni lavorative.
(3) Ebnt Ente bilaterale nazionale turismo, Osservatorio nazionale “Cultura e turismo: impresa e lavoro”, 2014.

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