Il numero 1/2015 di Gazzetta Ambiente ha affrontato il tema molto importante del ruolo che la comunicazione riveste nell’ambito dell’offerta turistica sostenibile da parte delle Aree protette.
Il Dossier, a cura di Roberto Sinibaldi, si compone di un analisi del quadro di insieme, realizzato da SL&A turismo e territorio, con degli approfondimenti sul turismo nelle aree protette in Europa e in Italia e sugli strumenti di marketing e comunicazione adottati, e porta come best practise il Parco Nazionale del Gran Paradiso, che rappresenta un’eccellenza dal punto di vista della comunicazione.
L’Osservatorio I-Park, realizzato da SL&A turismo e territorio, evidenzia situazioni quasi sconcertanti a livello nazionale, riportati con la forza dei numeri, che non concedono sconti: alcuni Parchi sono dotati solo di qualche striminzito sito Internet e nient’altro. Sono poche le attenuanti per gli enti che non considerano di vitale importanza la comunicazione.
In Italia, l’Area protetta italiana con maggior successo sui social è quella del Gran Paradiso, il più antico Parco nazionale italiano risulta infatti il più seguito su Facebook con circa 90.000 fan, e su Twitter, con quasi 6.000 follower. Al di là dei dettagli che riguardano l’organizzazione interna, come sottolinea Andrea Virgilio, responsabile della comunicazione del Parco, quello che conta ed è più evidente è l’approccio a tutto campo che si è voluto dare in relazione alla comunicazione. La moltiplicazione degli strumenti, la sistematicità dell’informazione, la cadenza degli aggiornamenti, la strutturazione di un sistema di relazione con il pubblico, la colloquialità dell’approccio, la chiarezza dei messaggi, il rigore dei contenuti, la sintesi della forma, la visibile linea concettuale che lega gli articoli sono il corollario fondamentale di un metodo di lavoro che ha il valore di una buona pratica.
Qua e là si intravedono dei dettagli, forse poco significativi, ma che sono tuttavia migliorabili (qualche incertezza grafica, una sovrabbondanza di link e qualche sbavatura nell’uso dei loghi nelle foto), ma niente rispetto all’afona elefantiasi di altri enti che fanno cose senza comunicarle, che è quasi come non farle.
Di converso esiste anche il rischio opposto, in realtà meno ricorrente, di fare comunicazione senza contenuti. Di spingere sulla leva degli annunci senza fare le cose. Da questo punto di vista la ricetta è facile: eliminare dai comunicati tutti i verbi coniugati al futuro. Scrivere e parlare solo di cose fatte. Bandire quei periclitanti verbi usati più che altro dalla politica, che auspica, fa il primo passo, ma poi non conclude, commettendo un errore sesquipedale dal punto di vista comunicativo: l’interruzione della narrazione, su cui si basa la costruzione del senso di identità, partecipazione e coinvolgimento emotivo delle persone.
La maggioranza di quelle stesse persone che in Italia dichiarano di non sapere che cos’è la biodiversità, tanto per fare un esempio, per circa il 62% (23% non ne ha mai sentito parlare, il 39% ha sentito la parola, ma non sa che cosa significa).
Ecco che si evidenzia un altro rischio, che la comunicazione dei Parchi (e più in generale quella che riguarda natura e turismo) si rivolga preferenzialmente a chi la capisce, in Italia a poco più di un terzo dei nostri connazionali.
Per non lasciare indietro nessuno bisogna organizzarsi. Affinare le tecniche di linguaggio e appianare ogni asperità semantica. Si possono descrivere fenomeni complessi anche con parole più semplici. Non è impossibile, è solamente più difficile. Il compito di alfabetizzare intere fasce di popolazione sui temi dell’ambiente è stato lasciato quasi completamente alla televisione, che a volte lo fa in maniera egregia, ma più spesso va a caccia di sensazionalismi senza senso. Da qualche tempo in tv fa capolino qualche pubblicità progresso un po’ più attenta e addirittura molte pubblicità parlano implicitamente di sostenibilità ambientale.
Il mercato, nella sua totalità, sembra meno pronto ai temi di un turismo responsabile, per esempio. Ma una leva formidabile, che precorre il convincimento culturale, è quella dei vantaggi economici. E su questo versante, per quanto il turismo ambientale ha numeri in forte crescita, potrebbe averne ancora di più, se la consapevolezza di sé, dell’uomo e del suo ambiente, fossero più diffuse. Quindi far conoscere non è solo una ecumenica necessità di evangelizzazione ambientale, ma un buon affare che porta soldi e occupazione.