Quali potranno essere le ripercussioni, psicologiche e non, degli attentati terroristici a Parigi? Gli obiettivi scelti – ovvero luoghi di aggregazione e di eventi socio-culturali come teatri, ristoranti, stadi – possono rappresentare un elemento destabilizzante nelle abitudini turistiche? Lo abbiamo chiesto a Stefano Landi, attento osservatore del settore, già capo del Dipartimento Turismo nel 1996, vice commissario straordinario per il Giubileo del Duemila, segretario generale della Fiavet dal 2003 al 2007, docente allo IULM di management e turismo e, prima ancora, ricercatore al Censis.
«Qualche tempo fa – racconta – ho seguito una tesi di laurea su Turismo e Terrorismo dove si prendevano in esame 20 anni di fatti tragici a livello mondiale e arrivava ad alcune conclusioni valide anche per “leggere” la strage di Parigi: la domanda turistica internazionale tende a riassorbire gli eventi in poco tempo, in media due anni. E il cosidetto “tempo di riallineamento” della curva di domanda tende ad accorciarsi mano a mano che gli eventi si fanno più recenti. Infine, il comportamento del turista sembra quasi assuefarsi alla possibilità di questi atti, vuoi per una sorta di rimozione psicanalitica, che per una specie di “vaccinazione progressiva”. Effetto Mitridate, si dice in medicina. Fin qui le evidenze scientifiche. Ora è sempre più chiaro a tutti i turisti che non ci sono più zone franche, forse neanche sotto casa propria. Alcuni degli episodi più recenti, vedi l’aereo indonesiano abbattuto sui cieli contesi dell’Ucraina, non riguardano neppure i contendenti. L’effetto psicologico è quindi globale, e riguarda in generale l’uscire di casa, il frequentare luoghi affollati,
il viaggiare. E non credo proprio che l’umanità voglia rinunciare a questa libertà, come ha scritto Michele Serra su La Repubblica».
Esiste un rischio concreto di débâcle nelle prenotazioni per alcune destinazioni ‘sensibili’?
«Credo proprio che questo rischio non esista, altrimenti che dovremmo dire di New York? Non mi pare proprio che la sua reputazione e il suo desiderio siano in calo. Stessa cosa non è accaduta per Londra e Madrid nel 2004, né mi risulta per Parigi dopo Charly Hebdo. Ben diverso il caso dei Paesi e delle destinazioni in cui la guerra c’è, la tensione è palpabile, gli attentati sono la norma anziché l’eccezione. Qui c’è poco da fare, oltre che rimuovere le cause dei conflitti e aspettare anni di normalità. E bada che non lo stiamo ancora cominciando a fare, se è vero che alla base di tutto, da almeno 50 anni, c’è probabilmente la questione irrisolta della Palestina».
Quali azioni si possono compiere per fronteggiare a breve, nel settore dei viaggi, questo clima di tensione che penalizza la libertà di movimento dei turisti?
«Temo che non ci sia altro da fare che ripristinare la normalità: non una “comunicazione di crisi”, non una rassicurazione che suona falsa e interessata. Si può solo essere normali e farlo vedere. In buona sostanza, viaggiare».
Tratto da L’Agenzia di Viaggi