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Nel clima di emergenza imprenditoriale e occupazionale che sembra dover ispirare ad ogni costo misure straordinarie, spesso si parla con grande sbrigatività di turismo come di una panacea.
Ma nel turismo, anche se la domanda interna risente della stretta ai consumi, le cose non sono così nette e, soprattutto, non pretendono una deroga alle regole pur di rilanciare ad ogni costo il settore, anzi.
Una domanda interna in forte sofferenza.

Gli Italiani negli ultimi anni hanno viaggiato di meno, sia per vacanza che per lavoro. L’ultimo anno di crescita è stato il 2008, con un totale di 700 milioni di notti fuori casa. Poi si sono succeduti quattro anni bui, fino al 2102, con una perdita complessiva stimabile in circa 200 milioni di notti. In questa tendenza il 2012 non è stato l’anno peggiore, con un calo percentuale del 5,3 rispetto al 2011.
Ma questo aggregato al suo interno mostra tendenze fortemente divergenti: infatti crescono, e molto (31%) i flussi diretti verso i paesi extra europei, chiaro indice di una domanda ricca che non soffre affatto della crisi, mentre cala dell’8% la domanda domestica, con destinazione Italia, ed in particolare si riducono del 21% le micro vacanze, quelle di quattro giorni al massimo.
Le vacanze brevi, cresciute impetuosamente fino al 2008 tanto da superare quelle lunghe, non erano quindi un ripiego imposto dalla restrizione dei consumi, ma una nuova modalità del consumo di viaggi: vacanze lunghe da una parte, e in più anche vacanze brevi. La crisi quindi ha finora risparmiato lo zoccolo duro della vacanza principale e la sua durata (rimasta ferma a 12 notti), ma ha limato il “superfluo” dei week end. E ha determinato un travaso imponente dalle destinazioni di montagna e di città, verso laghi, campagne e colline, evidentemente di costo più contenuto.
Da questi dati l’immagine di un popolo inchiodato dentro casa, tanto cara ai media, risulta per fortuna destituita di fondamento.

Una domanda europea sempre robusta
Per un paese che vede una forte contrazione della propria domanda turistica (ma non del numero delle persone che vanno in vacanza…) come il nostro, in compagnia di pochi altri come la Grecia, Cipro, la Spagna e il Portogallo, ce ne sono, solo nell’Unione europea, molti altri che invece vanno benissimo, a partire da quelli scandinavi, passando per la Germania e l’Inghilterra. Tanto che la media europea non vede variazioni di rilievo tra il 2011 ed il 2012.

Mentre nel 2012 il 71% dei cittadini europei aveva fatto almeno un viaggio, le previsioni per il 2013 sono in crescita fino al 75%: stanno programmando vacanze oltre il 90% dei Norvegesi, degli Austriaci, dei Tedeschi, e così via. Ma mentre la maggioranza degli Europei farà vacanza in patria, il 43% viaggerà in un altro paese dell’Unione, e l’Italia è tra le destinazioni favorite.
Una domanda mondiale in forte crescita

Ma la globalizzazione ha di bello che si può anche viaggiare: così in Italia arrivano moltissimi turisti dai Paesi nostri tradizionali estimatori (dagli USA al Canada, dall’Argentina all’Australia), come pure da tanti altri di nuovo e impetuoso sviluppo, che crescono a doppia cifra, anche se come quota assoluta sul nostro incoming sono ancora piuttosto marginali: Brasile, Russia, India, Cina per primi, ma dietro l’angolo la fila delle élites desiderose di Italia si allunga di continuo. E comunque il turismo mondiale non è affatto in crisi, avendo superato nel 2012 per la prima volta il miliardo di viaggiatori internazionali.

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Il quadro della domanda turistica non si presenta quindi come una omogenea catastrofe: ci sono bacini in calo, ma anche in crescita, un po’ ovunque.
Si pone però il problema della nostra proposta turistica e della sua adeguatezza ad affermarsi sui diversi mercati, e qui i motivi di preoccupazione sono probabilmente più seri. Perché, tanto per fare un esempio, è ben difficile che i Brasiliani vengano in Italia per andare al mare.

Storicamente il nostro Paese si è specializzato su poche famiglie di prodotti, concentrate intorno al balneare, al termale-curativo, alla montagna invernale, alle città d’arte. Oggi le prime tre tipologie appaiono in fase di maturità se non addirittura in crisi, si sono spesso mantenute a galla grazie alla domanda interna di prossimità, e ne soffrono quindi fortemente la contrazione. Per converso, non avendo sufficientemente innovato il prodotto, fanno sempre più fatica ad affrontare i mercati esteri, diversificandoli a seconda delle opportunità.
È proprio su questi temi che si gioca il futuro prossimo del turismo nazionale, e non ci sono scorciatoie possibili. Per quanto Roma e poche altre realtà siano emblematicamente al top dei desideri dei turisti mondiali, è fin troppo facile, ed anche illusorio, sostenere che per far venire più turisti i nostri attrattori più forti devono potenziare la loro capacità di accoglienza.

Per chi conosce da vicino Venezia o Siena o Roma è del tutto evidente che il problema non è la forza di attrazione, ma la capacità di carico, che non si può espandere con un colpo di bacchetta, anche perché non riguarda solo gli attrattori stessi (luoghi o musei o monumenti che siano): coinvolge infatti i contesti urbani e territoriali, la vivibilità delle città, i sistemi infrastrutturali, e così via. E la questione delle navi da crociera in Laguna e dei pullman a Roma sta lì a ricordarcelo ogni giorno.

Alla luce di questi fatti, bisogna diffidare di ogni ricetta preconfezionata, di ogni formula sbrigativa di rilancio: dal lato del marketing non può funzionare una attrazione generata solo attraverso il potenziamento delle spese promozionali, senza la creazione di prodotti nuovi, con il rischio di fare crescere la congestione nei luoghi più attraenti.

Dal lato dei nuovi prodotti la loro costruzione non può essere repentina né fondata solo sull’attrazione di investimenti (come si pensa di fare in Costa Smeralda), una attrazione che viene spesso erroneamente confusa con la creazione di nuova ricettività (alberghi, ma anche e soprattutto case e ville come cinquanta anni fa). Qui il problema è semmai la saturazione della capacità ricettiva esistente, per cui servono molte più startup turistiche che fondi immobiliari.