L’Italia non riesce ancora a sfruttare appieno la sua enorme attrattività turistica, unica al mondo, e a farne un valido strumento di crescita. Vi sono però tre grandi possibilità di rilancio su cui nel Lazio si sta già lavorando: la ricerca di un nuovo equilibrio nella governance del settore, la digitalizzazione dell’offerta e l’utilizzo del turismo come principale volano per costruire un modello, tutto italiano, di sviluppo, non solo economico ma anche e soprattutto sociale.
L’agenda politica italiana è da qualche anno, giustamente, concentrata sul grande tema degli sprechi: nei bilanci, nelle pieghe delle amministrazioni pubbliche, nella galassia delle società partecipate, nella politica. Non si è dedicata pari attenzione, tuttavia, a un altro tipo di spreco, che costa al sistema paese milioni di euro ogni anno, come l’enorme dispersione di cultura e bellezza che avviene ogni giorno. Eppure, se c’è un settore in cui stiamo dilapidando una vera fortuna, è proprio questo. I numeri sono noti. Il turismo, con l’indotto, è arrivato a generare il 10,3% del PIL mondiale (stime del World Travel & Tourism Council). I turisti internazionali sono passati da 25 milioni del 1950 a oltre un miliardo nel 2012 e, secondo le previsioni, nel 2030 saranno 1,8 miliardi. Nel frattempo, l’Italia perde progressivamente posizioni: considerando il contributo diretto del turismo al PIL, in termini assoluti, l’Italia attualmente è il sesto paese al mondo, con 82 miliardi di dollari. Nel 2024, secondo le stime del WTTC, diventerebbe l’ottavo. L’Italia è ancora la meta più desiderata (insieme all’emergente Australia), ma poi la destinazione più acquistata sono gli Stati Uniti (Tripbarometer). In Italia solo il 3,2% degli investimenti totali riguarda il turismo (in Spagna il 7,9%, in Gran Bretagna il 4,4%). Neanche questi numeri, tuttavia, ci danno l’esatta misura di un vero e proprio fallimento. Sarebbe un errore valutare la debolezza del sistema Italia nella valorizzazione dei beni turistici e culturali solo in termini di flussi, di presenze o di ricchezza generata dal turismo: il vero dramma italiano è che, attorno a un potenziale incredibile e davvero unico al mondo, non si sia sviluppato un progetto solido di sviluppo. La vera sconfitta è che l’attrattività che l’Italia, bene o male, continua a esercitare non sia finora riuscita a trasformarsi in crescita e a esaltare un intero sistema fatto di eccellenze umane, intelligenze, creatività, oltre che di bellezza e storia. E proprio questa è oggi la vera sfida. Far incontrare settori produttivi diversi, che vanno dalla promozione turistica pura alla valorizzazione dei prodotti enogastronomici, fino alla costruzione e comunicazione degli eventi culturali, artistici o sportivi. Per curare davvero questo insieme eterogeneo serve un grande sforzo collettivo e un cambio di prospettiva.
Vedo soprattutto tre sfide davanti a noi, tre grandi possibilità di rilancio, su cui nel Lazio stiamo già lavorando e che cercherò di illustrare di seguito: la prima sfida, la più importante, è dare una nuova governance al turismo che, senza svuotare di competenze le realtà locali, ricomponga in un unico progetto coerente l’incredibile spezzettamento di organismi, strumenti, risorse e norme che oggi esistono in Italia; la seconda è lavorare per una forte digitalizzazione degli strumenti di promozione dell’offerta turistica e culturale, per far parlare l’Italia al mondo con il linguaggio della contemporaneità e per sfruttare le enormi potenzialità che la tecnologia può dare nella conoscenza e nella fruizione dei beni turistici e culturali; la terza è lanciare un turismo diffuso, che esalti e valorizzi le realtà locali e riesca a orientare il paese verso modelli di sviluppo sostenibile.
Una nuova governance del turismo
I motivi del ritardo che abbiamo accumulato nel corso degli anni nella valorizzazione dei beni turistici e culturali sono diversi. Dal punto di vista di un amministratore, resto convinto che una delle priorità che abbiamo sia quella di trovare un nuovo equilibrio nella governance, in cui il pubblico continui ad avere un ruolo strategico primario e a esercitare una funzione di coordinamento e indirizzo nella promozione dell’offerta. E in cui il privato possa cogliere le occasioni di un progetto collettivo forte, innovativo, con vocazione internazionale. Il tema vero, oggi, è riuscire ad armonizzare le azioni e le risorse disponibili, rafforzare gli investimenti, ma ancora di più ridefinire il ruolo e le competenze delle pubbliche amministrazioni nel campo della promozione turistica e culturale. Se l’obiettivo primario resta quello dell’armonizzazione, la domanda che ci dobbiamo porre con forza è sugli obiettivi comuni da raggiungere, sul modo in cui Regioni, enti locali e Stato vogliono cooperare tra loro e con le tante realtà imprenditoriali. Ricordando comunque che il turista arriva sul territorio, che l’assistenza, quindi, non può che essere fatta a livello locale, così come il sostegno alle imprese. E ricordando anche che l’individuazione delle tipologie di turismo, degli itinerari e degli attrattori non può che avvenire a livello regionale e comunale.
Uno dei grandi ostacoli allo sviluppo dell’offerta turistica e culturale in Italia è stata l’incapacità di finalizzare su un asset produttivo per sua natura trasversale, come il turismo, le diverse risorse a disposizione da Europa, Stato, Regioni e Comuni. Le Regioni, secondo uno studio promosso dall’ANCI, spendono circa lo 0,4% delle loro risorse nella promozione turistica, per circa 550 milioni di euro l’anno. Risorse del tutto insufficienti, ma soprattutto non armonizzate con altre voci di bilancio (ad esempio con quelle destinate a settori contigui, come cultura, agroalimentare o ambiente) e con gli investimenti di altri livelli amministrativi (Europa, Stato, Comuni). È qui che serve, quindi, coraggio e capacità di innovare. Innanzitutto cancellando tutte le duplicazioni e le sovrapposizioni che oggi esistono. L’ENIT, le agenzie di ambito regionale, le società d’area, le associazioni e i consorzi turistici, i comitati di settore ecc. In attesa che si arrivi a una ridefinizione delle competenze a livello costituzionale, si può già intraprendere un’azione unitaria, in seno alla Conferenza Stato-Regioni e con il coinvolgimento delle maggiori realtà comunali, per una forte semplificazione degli strumenti e per una ridefinizione di politiche unitarie. Bisogna cercare di armonizzare i Testi unici sul turismo, non solo per fare ordine, ma anche per aggiornare e correggere tutte le norme che oggi danneggiano l’attività imprenditoriale; occorre favorire processi di autocertificazione, servizi online, accordi con associazioni di categoria; bisogna riorganizzare e razionalizzare le deleghe al territorio. E poi bisogna definire con equilibrio e con la massima chiarezza compiti e funzioni: lo Stato deve occuparsi principalmente della promozione del sistema culturale e turistico italiano al livello internazionale; le Regioni devono coordinare e promuovere piattaforme territoriali, individuando imprese, servizi, vocazioni ed eccellenze locali. Questi due elementi, insieme, costituiscono la proposta Italia da portare nel mondo.
Il decreto cultura approvato dal governo dà un segnale chiaro di modernizzazione ed è anche frutto di una volontà positiva di ridare una regia di livello nazionale alla promozione del turismo e della cultura. Tutte le parti dello Stato, insieme, devono essere pronte a raccogliere una sfida che darà benefici all’intero sistema
Digitalizzazione dell’offerta turistica e culturale
Sul fronte della tecnologia, c’è innanzitutto una vera e propria urgenza da risolvere: quella relativa all’intermediazione. Oggi siamo, infatti, nella situazione paradossale che la maggior parte degli utili per le prenotazioni finiscono all’estero, esentasse. Milioni di euro persi ogni anno dall’Italia, solo perché i maggiori portali sono stranieri. È una sfida decisiva che si vince non con le cause o con i muscoli, ma con l’intelligenza, aiutando a crescere l’incoming e sviluppando le reti d’impresa su questo settore nevralgico.
C’è poi il tema della promozione. In Italia abbiamo un’enorme quantità di siti, portali, pubblicazioni di informazione turistica. Eppure, gli strumenti di promozione sul web copiosamente sostenuti dalle amministrazioni pubbliche, sia a livello centrale che locale, riescono raramente a diventare influencer, per utilizzare un termine che si usa sui social network: non catturano attenzione, non riescono a orientare la scelta. Mentre ormai sappiamo tutti che il luogo in cui si decide un viaggio e in che modo fruire un territorio è proprio il web. Secondo una recente ricerca di Google, le persone affermano che internet è fonte di ispirazione per il viaggio (61%) e un indispensabile strumento di pianificazione (80%). Se non siamo competitivi, è per una generale arretratezza dell’Italia su questo fronte: scarsi investimenti, insufficienza delle infrastrutture digitali, analfabetismo informatico, mancanza di cultura tecnologica. Ma non solo. Se Comuni, Regioni e Stato non sono riusciti a costruire una presenza forte sul web, se non hanno utilizzato sufficientemente infrastrutture digitali sul territorio, è anche perché la maggior parte dei portali è pensata con criteri a bassissimo coefficiente di interazione: si tratta per lo più di contenitori pieni di informazioni, ma con scarsa possibilità di azione per l’utente (scelta, scambio di informazioni, valutazione dei servizi). Anche sul web si è inoltre ricreata la grande frammentazione di soggetti e sono mancati un indirizzo e una strategia unitari. Lo abbiamo visto benissimo nel Lazio, dove abbiamo trovato una politica sul web parcellizzata, vecchia, slegata dall’offerta dei territori, perfino, assurdamente, con quella di un enorme attrattore come Roma. Eppure, se c’è un’opportunità che ci dà il web, è proprio quella di creare link, mettere in relazione realtà e soggetti differenti.
Penso allora che una grande occasione per l’Italia dovrebbe essere quella di creare un’Agenda digitale del turismo e della cultura: innanzitutto, lavorando su una serie di standard, ma anche dando un forte sostegno alla formazione di staff qualificati che agiscano attivamente sulla rete, sui social network, sia nella promozione dei luoghi turistici e degli eventi sia come front office per il turista. Ad esempio, offrendo ai viaggiatori informazioni in tempo reale sulle possibilità di fruizione del territorio. Occorre, inoltre, rafforzare tutti i canali di e-commerce e, anzi, agire ancora prima: cioè in quello che viene definito “info-commerce”. Creare sul web un dialogo con il potenziale turista ancora prima che decida il viaggio, presidiando e comprendendo i vari luoghi digitali in cui le persone trascorrono tempo e instaurano relazioni. Mi riferisco ai principali social network, Facebook, YouTube e Twitter, ma anche Instagram o Pinterest. Bisogna saper ascoltare le opinioni e dar voce alle emozioni che i turisti (o gli abitanti) lasciano con foto e commenti spesso geolocalizzati. Ciò che oggi determina la scelta di una destinazione, come di un hotel, non è solo l’informazione ma, soprattutto, la reputazione. Poi, bisogna lavorare alla digitalizzazione delle strutture ricettive e dei beni culturali: nel Lazio abbiamo lo straordinario esempio di Cerveteri. Il Museo nazionale archeologico di Cerveteri si è arricchito di teche multimediali, grazie a un piccolo intervento della Regione che però ha dato subito risultati importanti in termini di attrattività, facendo raddoppiare il numero di visitatori. Infine, un punto fondamentale nell’Agenda digitale sul turismo dovrebbe essere il sostegno alla nascita di startup, piattaforme tecnologiche e app per telefonia mobile, per far conoscere in maniera innovativa, e a un nuovo pubblico, i tesori che custodiamo e la nostra offerta culturale. Perché non è più pensabile ragionare in termini di differenti piattaforme e perché le persone, quando viaggiano, comunicano e cercano informazioni attraverso il mobile. Nel Lazio lo stiamo facendo, utilizzando i fondi europei per finanziare bandi come “App On” o “Cultura Futura”. Perché l’incontro tra la tecnologia e il patrimonio di bellezza italiano può far nascere nuove occasioni imprenditoriali.
Per una via europea al turismo
La terza sfida è insieme la più difficile e la più appassionante: fare del turismo il principale volano per costruire un nuovo modello di sviluppo. È la sfida più difficile, perché richiede un radicale cambio di mentalità nel nostro approccio alla materia. Ed è la più appassionante, perché riguarda direttamente la nostra identità, la nostra storia e il modo in cui, noi italiani, vogliamo abitare il futuro. Il primo cambiamento che dobbiamo fare, a mio avviso, è smettere di considerare il turismo secondo una logica di settore: le politiche turistiche e culturali sono trasversali e abbracciano praticamente l’intero campo delle politiche pubbliche. La cura dell’ambiente e del paesaggio, l’innovazione nei servizi, l’efficienza della mobilità, la qualità dei nostri prodotti agroalimentari o manifatturieri. Serve coraggio: a una politica per il turismo basata soprattutto sulla quantificazione dei flussi dobbiamo sostituire un progetto diffuso che alimenti un’economia sostenibile, che dia respiro alle realtà locali, ai piccoli produttori, che faccia emergere giovani imprenditori che sanno fare innovazione. Noi italiani partiamo da una posizione di assoluto privilegio. Perché nel mondo cresce la domanda di Italian style, che è una ricchezza unica e impossibile da replicare. Pensiamo al vino: dell’Italia si vende il paesaggio; si vende la terra in cui vengono coltivate le vigne; si vendono i servizi su quel territorio; si vende il mestiere antico di chi trasforma l’uva in vino, fino alla bottiglia. Ecco perché possiamo diventare davvero il motore per affermare una via europea al turismo, basata su una rete di bellezza e di competenze che esiste qui e in nessun altro continente. Bisogna allora combattere una certa pigrizia, che ci ha spinto a considerare un successo, di per sé, un aumento di presenze. La domanda che va posta è su quanto i numeri positivi sui flussi si traducano in crescita di un territorio, e non solo in termini di ricchezza economica, ma anche, e direi soprattutto, in termini di qualità sociale. Se non facciamo questo passaggio, rischiamo non solo di rimanere indietro, ma di raccogliere la parte peggiore del turismo. Come in effetti stiamo vedendo nelle nostre città.
Che cosa fare, quindi? Dobbiamo pianificare le opportunità, superare la logica dei finanziamenti a pioggia e progettare investimenti, coinvolgendo il più possibile ambiti di governo diversi. Dobbiamo puntare sulla scelta di aree di eccellenza. E, all’interno di esse, individuare e valorizzare realtà locali: monumenti, prodotti, imprese. Dobbiamo favorire i progetti di rete e le piattaforme territoriali. Bisogna, quindi, cominciare a far parlare tra loro ambiti diversi. Il formaggio e la letteratura; la bicicletta e gli smartphone; un festival di musica e spettacolo e la Villa Adriana di Tivoli, per citare un evento che abbiamo promosso in uno dei più incredibili tesori del Lazio. Una politica innovatrice deve considerare il turismo come il mezzo più potente per prenderci cura di quanto di meglio possediamo. In questo senso, l’Expo del 2015 costituisce davvero una straordinaria occasione: ci ha costretto, infatti, a ragionare in modo nuovo sul territorio, sulle sue bellezze e sui suoi prodotti come fattori integrati di attrazione.
È perdente la scelta di occuparsi del turismo in sé o specializzarsi solo su uno specifico settore turistico. Vince, invece, chi riesce a diversificare l’offerta, chi sa dare occasioni di cultura, qualità dell’accoglienza, opportunità per il tempo libero e per il divertimento. Vince chi rende vivo, funzionale e moderno il proprio territorio. Vinceremo, noi italiani, se riusciremo davvero a essere un paese per tutti.
Tratto da ItalianiEuropei