Chi opera nel turismo, in particolar modo nella promozione turistica territoriale, si trova ad affrontare un compito non da poco: fare “marketing territoriale o di destinazione”, infatti, implica la necessità di sbrogliare preventivamente parecchie, anche difficili faccende…. Vediamole, pur brevemente e senza ambizioni di linguaggio tecnico.
Sapere di che si parla
Anzitutto si deve aver ben chiara l’idea (e la cultura, la conoscenza) in merito al “che cos’è il marketing”; ma questo lo diamo per scontato, poiché… irrinunciabile.
Poi è necessario sapere che cos’è la dimensione “pubblica” e quella “privata”, dato che il marketing turistico, nella sua accezione più allargata, del quale si sta trattando in questo contesto, si muove ed opera in entrambe le dimensioni e spesso pure contemporaneamente, si pensi alla Trentino SpA, ad esempio, ma anche ad altri enti quali quelli dell’Alto Adige, del Friuli – Venia Giulia, della Sardegna, oppure alle comunità montane più evolute ed attente… Gli esempi sono molti, anche se non quanti vorremmo.
I primi dubbi, le prime scelte
Nasce così l’esigenza, o meglio, l’interrogativo che è così riassumibile: va bene la promozione “per ambito”, tipo Val di Fassa, Val di Fiemme, Garda Trentino, oppure si devono trovare “grappoli territoriali, ad esempio “Tutti quelli del Dolomiti Superski”, grappolo “commerciale”, oppure sono migliori i cluster turistico-geologici, del tipo “le Dolomiti”, o ancora, come fatto in Emilia Romagna “la riviera”, “le terme”…
Oppure si può fare ancora di meglio?
E i prodotti? E le motivazioni? Lo sci, oppure il wellness sono prodotti-motivazione…
Come uscirne?
Potremmo partire da un’ipotesi di minima, considerando possibile una semplificazione che preveda soltanto due approcci: due modi di considerare e quindi promuovere l’offerta turistica di un certo territorio, ad esempio una regione.
Una prima modalità, per così dire di taglio “geo-amministrativo che incontra le esigenze di prodotto”, può essere considerata la ormai classica suddivisione in ambiti: la Valle di Sole, con Pejo e Rabbi, ma anche Le Crete Senesi, Jesolo o Roma possono essere esempi di “geografia che è di fatto anche un prodotto”. Esempi volutamente assai diversi, scelti proprio per dimostrare come quest’approccio sia sempre possibile, pur con i limiti che vedremo.
Dalla fine degli anni ’80, con la nascita degli “ambiti”, la politica turistica locale ha imparato a promuovere il territorio secondo logiche che – lo si deve riconoscere – in alcuni casi hanno rappresentato un notevole salto qualitativo, una pregevole innovazione: Alto Adige, Trentino ed Emilia Romagna sono probabilmente le aree che si sono distinte in questo. Non mancano le situazioni opposte, naturalmente, dove tra commissariamenti e inerzie si è addirittura arrivati al 2000 senza neppure applicare la legge quadro del 1986.
La seconda modalità può essere chiamata “di prodotto”, tendente cioè ad individuare e promuovere un certo “circoscritto” prodotto. In altre parole si tratta di una scelta simile per molti versi a quanto fatto in passato anche in Emilia Romagna, che ha scelto di creare il prodotto “Riviera”, quello “Termale”, la montagna, le città…
È questo dunque un caso di cluster “di prodotto-proposta” omogenea, per quanto possibile.
Pur capendo che l’omogeneità delle proposte consente un marketing più semplice e netto, se così si può dire, quest’approccio sembra però pericolosamente semplificatore. Il pericolo è quello di unire una serie di proposte a macchia di leopardo con un file rouge che è certo coerente, evidente, ma perde buona parte di quella “poliedricità” che l’esperienza della vacanza, composita, ha ormai sviluppato nel tempo.
Piccole complicazioni crescono
Si è così anticipato un altro tema, un altro punto di snodo che caratterizza il divenire turistico di successo, cioè quello della complessità, della ricca disponibilità di prodotti, servizi, ma soprattutto esperienze, emozioni, esplorazioni che il far turismo attuale vede come elemento qualificante, caratterizzante lo scenario attuale.
Se una vacanza, un viaggio, quindi dalla stanzialità alla mobilità, necessità di una tavolozza assai vari di stimoli ed opportunità, di “narrazione” del territorio e del modus vivendi, allora… come si può pensare ad un marketing “di valle o di prodotto”, di “motivazione principale”?
Lo si può fare solo perché c’è posto anche per questo. Anche ma non solo. Non esiste un modo unico di informare, promuovere, infine vendere una destinazione, un pacchetto, un viaggio, ma molti modi, sapientemente miscelati in percentuali ora fortemente privilegianti una componente, ad esempio il relax, oppure lo ski total, ora invece il tour tematico, ad esempio le vie del romanico, i grandi itinerari di fede e di storia, oppure ancora la ricca o pseudo-tale esperienza dove in una settimana si “prova tutto e di tutto”, come in crociera, oppure nei villaggi turistici. Si possono percorrere “le strade” tematiche come quelle del vino o le più recenti delle ciliegie, dell’aceto balsamico, dei frutti “dimenticati”, certo ma, a ben guardare, tra mele cotogne e Chianti invecchiato, tra Brunello e agriturismo, tra musei dell’auto da corsa e antiche saline, miniere, non è forse vero che “rientrano” positivamente anche chiese, ristoranti, alberghi e spiagge che erano i principali componenti di “altri” prodotti, di “diverse” formule di vacanza?
Non “il giusto mezzo”, ma il giusto mix
Troppo facile, forse, dire che tutto è valido, tutto si mischia, che degli approcci suddetti, come del maiale, “non si butta via nulla”.
Non è banale invece recuperare quel concetto di vacanza, di esperienza turistica da considerarsi “prodotto composito” che tanto positivamente era entrato nella cultura del turismo e del marketing nel corso dei senza dubbio effervescenti anni fine ’80 – inizio ’90… Recuperare questa consapevolezza rende, oltre che più corretto e realistico, mentalmente onesto l’approccio, anche più facile poi riscoprire come vada suonata con attenzione “tutta la tastiera a disposizione”, soprattutto se “lo spartito” che si va ad eseguire, nel marketing turistico, è conseguenza di una buona politica, di un pregevole stadio precedente di analisi ed elaborazione eticamente ineccepibile, se possibile, dell’obiettivo, dello “stato delle cose” che si vuole tutelare o raggiungere.
Quindi etica, onestà mentale, poi cultura umanistica e tecnica, infine un buon marketing, coerente e sapiente nel realizzare sia in termini strategici che operativi quello che è il “pensiero”, la visione politica di un territorio, con il suo ambiente naturale, certo, ma soprattutto con le persone, la loro storia, la loro cultura e la loro capacità di produrre, di creare, di proporre.
Allora sì che sceglier etra promuovere “la vallata” o “agire per prodotto-motivazione2 sarà davvero facile.
E forse… inutile!