Slow Money

“Rallentare il denaro”. Per l’americano Woody Tasch il futuro è il low profit: meno guadagni per gli azionisti ma immensi benefici per le comunità locali.

Woody Tasch ha un sogno. E come spesso accade per i sogni americani, passa attraverso i soldi. Soldi slow, però. Lenti. Slow Money (Chelsea Green Publishing) è il libro-manifesto di questo venture capitalist, che propone di modificare il modello produttivo rivolto unicamente al profitto e rallentare quindi il flusso del denaro che sfreccia nel mondo globalizzato, per radicarlo nelle comunità locali. Dal 1992 Tasch gira gli Stati Uniti con il suo Investors’ Circle, una piattaforma di intermediazione finanziaria per creare piccole imprese alimentari low profit: meno profitti per gli azionisti, ma enormi benefici per l’intera comunità. Un modello che è stato ribattezzato stakeholder capitalism, cioè un capitalismo collettivo non più tiranneggiato dalla bramosia degli azionisti, gli shareholder.

Un investitore tradizionale si aspetta in media un profitto del 20% in dieci anni. Un’impresa sostenibile rende al massimo tra il cinque e il 14% in 15 anni. Chi ci guadagna?. «L’intera comunità dove viene creata l’impresa. Prendete il caso dei ristoranti Farmers Diner, fondati negli Usa nel 1999: due terzi del cibo servito viene acquistato presso allevatori e piccoli produttori che vivono in un raggio di 70 miglia. L’idea è creare una rete nazionale di Farmers Dines locali, scelti dai clienti per la qualità dei loro prodotti biologici e per il fatto che mangiare lì significa sostenere la propria comunità».

Ma non tutti sono contadini. Come si possono quantificare i benefici collettivi?
«Secondo uno studio della Cornell University, ogni milione di dollari all’anno di vendite nel Farmers Diner – e il discorso vale ovviamente per altre aziende simili – si traduce in 350 acri di terra coltivata, quindici allevatori che vendono per 50mila dollari, tredici posti di lavoro nelle fattorie, un milione e 200mila dollari risparmiati in spese pubbliche di conservazione della terra. E il taglio di trasporti delle merci evita l’emissione di almeno dieci tonnellate l’anno di diossido di carbonio».

Suona come una versione illuminata dell’autarchia…
«Nessuno vuole tagliare fuori lo scambio di merci globale:“rallentare il denaro” significa interconnettere le diverse comunità locali. Infatti il nostro modello si sta diffondendo: Investors’ Circle è in contatto con molte realtà in Giappone, Australia, Inghilterra, Francia e altri Paesi ancora. In Italia, naturalmente, con Carlo Petrini e Slow Food».
Perché un WIMP (White Itinerant Money People) dovrebbe rinunciare a parte del suo profitto?
«Non stiamo parlando di “capitalisti dal cuore d’oro”, ovvio. Lo fanno per sopravvivere: un investitore deve seguire
l’assetto del mercato. E tutti gli indicatori globali, dalla crescita del microcredito all’ambientalismo fino all’amara verità che non sappiamo quali saranno davvero gli esiti di questa crisi, puntano nella stessa direzione. Siamo all’inizio di una ristrutturazione epocale».

Diventeremo tutti più buoni?
«L’entusiasmo di chi investe non si rivolge più – come negli anni Novanta – alla creazione di nuovi miliardari, ma piuttosto all’idea che il business possa e debba salvare le comunità. Un effetto della crisi è che le persone pensano di più. Sul nostro sito (www.investorscircle.net) abbiamo raccolto già decine di migliaia di firme che sottoscrivono i principi generali dello Slow Money. Stiamo diventando qualcosa di più simile a un movimento di quanto avremmo mai immaginato. Con l’Investors’ Circle abbiamo finora indirizzato 135 milioni di dollari verso duemila piccole imprese nascenti. Reclutiamo investitori che contribuiscono con un minimo di mille dollari, ma soprattutto che abbiano competenze ed esperienza nei campi del sostenibile, delle fondazioni, della filantropia, delle energie rinnovabili, dell’alimentare».

E le altre industrie?
«Siamo partiti dal cibo perché ha un potere e un fascino unico: tutti quanti lo amano. Il vero ground zero che vedo in America è la terra, il seme piantato dal contadino. Ma l’idea è esportabile anche in altri campi: trasporti, educazione, sanità, architettura green, media indipendenti. Business che avrebbero tutto da guadagnare a ragionare in termini locali».

Le multinazionali vi appoggiano o vi boicottano?
«Fin dall’inizio l’Investors’ Circle è stato supportato dalla Kellogg’s Foundation e abbiamo dalla nostra parte molti imprenditori e Ceo che hanno il potere di indirizzare il mercato di domani. Nel giro di dieci anni quello che facciamo sarà misurabile in decine di miliardi di dollari. Tanti saranno in grado di muovere le centinaia di associazioni, enti, fondazioni, connesse a progetti come il nostro. E il primo meeting nazionale di Slow Money Fund avverrà a Santa Fe il 10 e 11 settembre».

Dieci anni sono un breve istante per ribaltare un modello economico.

«All’Investors’ Circle ci scambiamo spesso una battuta serissima: renderemo lento il denaro il più in fretta possibile».

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