L’aumento degli affitti nelle grandi città italiane post-pandemia ha suscitato un ampio dibattito, ma le dinamiche dietro questo fenomeno sono più complesse di quanto sembri. I media hanno attribuito l’aumento dei canoni alla crescita delle locazioni brevi su piattaforme digitali e ai flussi migratori di studenti e lavoratori verso le città principali. Tuttavia, un confronto tra i dati di diverse fonti -effettuato da LaVoce.info-, come i portali Idealista e Immobiliare.it e l’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) dell’Agenzia delle Entrate, mette in luce discrepanze significative. Dal 2021 al 2024, i portali hanno mostrato un aumento dei canoni fino al 30-40% rispetto ai livelli pre-pandemia, mentre i dati Omi, basati su contratti registrati, mostrano aumenti più contenuti e in alcune città addirittura lievi flessioni. Le differenze nei dati possono essere spiegate da vari fattori. I portali riportano l’asking rent, ossia il prezzo iniziale richiesto dai proprietari, che spesso è superiore al prezzo effettivo concordato, poiché i locatori testano il mercato con richieste elevate. I dati Omi, invece, riflettono i canoni effettivi concordati nei contratti. Inoltre, mentre i portali forniscono medie mensili, i contratti più economici tendono ad essere locati più rapidamente, mentre quelli più costosi restano sul mercato più a lungo, influenzando le statistiche. Anche la presenza di spese condominiali e utenze incluse negli annunci può distorcere il quadro, poiché i dati Omi si riferiscono al solo canone netto. Un ulteriore confronto sui dati a lungo termine (2005-2024) mostra che, in molte città, i valori attuali sono simili o addirittura inferiori rispetto a vent’anni fa, contrariamente alla percezione di un aumento generalizzato. Milano è l’unica eccezione, con una crescita costante. Inoltre, la variazione degli affitti non segue schemi definiti tra le zone più centrali e quelle periferiche, suggerendo che i canoni non siano aumentati in modo significativamente più accentuato nelle aree turistiche o più richieste. Un altro elemento da considerare è l’effetto della percezione pubblica. La maggiore attenzione mediatica ai casi estremi e l’espansione delle locazioni brevi ha alimentato un senso di scarsità sul mercato degli affitti a lungo termine. L’aumento dei costi della vita, senza un adeguato aumento dei redditi reali, ha fatto sì che gli affitti incidano maggiormente sul bilancio delle famiglie. Insomma non è dimostrato che sugli affitti la vox populi sia anche vox veritas.
